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La digitalizzazione e l’utilizzo sempre più capillare di intelligenza artificiale (AI) ci condurrà alla “disumanizzazione” del lavoro? Grazie ad Antonella Romano – Partner e founder di In Action, società di formazione consulenza HR e coaching, ma anche formatrice e coach professionista – abbiamo analizzato quelle che sembrano essere le conseguenze di questa nuova rivoluzione industriale sul mondo del lavoro dal punto di vista della ricerca e della gestione del personale. Il capitale umano resterà sempre al centro dell’innovazione ma è essenziale investire nella formazione e lavorare sulla cultura per poter costruire un percorso concreto di crescita.

In che modo la digitalizzazione sta influenzando e cambiando il settore delle risorse umane nelle aziende?

Stiamo vivendo una grande e rapida evoluzione in tutti i processi che coinvolgono la gestione delle risorse umane nelle aziende, in particolare per le grandi organizzazioni.

Dallo screening delle candidature, alla gestione dei processi di engagement passando per quelli di valutazione delle prestazioni e per lo sviluppo competenze. Un coinvolgimento a 360° di ogni aspetto del settore che porta ad un aumento quantitativo e qualitativo delle informazioni raccolte. Una grande mole di dati con significative potenzialità che, da un lato, può consentire, a chi la gestisce, di individuare piani di sviluppo a supporto del business e della valorizzazione delle persone sempre più mirati ed efficaci, ma, dall’altro, necessita di un lavoro “preparatorio” dal punto di vista culturale e manageriale. È, infatti, fondamentale sensibilizzare verso una cultura organizzativa che viva l’innovazione tecnologica come uno strumento a supporto dei processi manageriali e di gestione delle persone. La digitalizzazione, in generale, ed in modo particolare per quanto concerne il settore HR, deve sempre essere orientata alla flessibilità e alla agilità, non può “ingessare” i processi e “addebitare” un carico addizionale di lavoro al singolo dipendente.


Come condizionerà il recruitment nelle imprese lo sviluppo di strumenti basati sull’AI?

L’intelligenza artificiale è già parte dei processi di recruitment. Questo tipo di soluzione viene già impiegato da molte grandi organizzazioni in fase di selezione del personale.

L’AI aiuta ad analizzare i dati e velocizzare i processi, di conseguenza il suo impiego è previsto nel caso di una quantità di informazioni significativa. Per questo, ad oggi, tendenzialmente la piccola e media impresa, nel caso del recruitment, non utilizza sistemi avanzati per l’analisi dei profili dei candidati. Il numero di candidature e la frequenza delle nuove assunzioni non giustificano, in questo tipo di aziende, un investimento significativo come quello necessario per sviluppare e/o acquisire tecnologie di AI.

L’AI non viene utilizzata solo per l’analisi dei profili ma anche, ad esempio, per realizzare strumenti di messaggistica istantanea disponibili h24 per risponde a domande dei candidati, oppure viene integrata nelle piattaforme per la gestione delle candidature per facilitare il processo di upload e controllo dei dati. L’intelligenza artificiale può anche essere usata nei colloqui in video call per analizzare la mimica facciale o, attraverso dei visori, diventare uno strumento fondamentale per realizzare delle vere e proprie simulazioni.

Mi preme evidenziare come, nel recruitment, queste tecnologie da una parte eliminano il bias del selezionatore ma dall’altro introducono a loro volta una sorta di bias legato alle loro caratteristiche in evoluzione; è necessario mantenere un controllo e una verifica costante su quelli che sono i risultati che arrivano per evitare ogni genere di discriminazione, perché il sistema autoapprende ma lo fa in base ad una serie di elementi predefiniti.

Il lavoro delle persone in un processo di selezione rimane fondamentale per la gestione dei processi, il controllo delle attività e, in particolare, per l’esame critico di fattori non standardizzabili. Infatti, al netto della corrispondenza tra competenze e esperienze richieste dall’organizzazione, è necessario individuare, anche attraverso la sensibilità e la professionalità del reclutatore, dei candidati che si possano inserire in modo coerente nella cultura aziendale.

I cambiamenti in corso stanno modificando le tipologie di profili professionali richiesti? Che caratteristiche devono avere le nuove figure richieste dal mercato?

In questo momento c’è una grandissima richiesta di persone specializzate nel settore ICT e che hanno esperienze specifiche nel mondo dell’intelligenza artificiale. Questi profili sono richiesti anche da organizzazioni che prima non internalizzavano questo genere di attività. Possiamo dire che l’interesse del mercato per profili specializzati in ambito tecnologico e cyber (la cybersicurezza è una delle facce più interessanti di questo fenomeno) è in ascesa e che, allo stesso tempo, nuove figure stanno nascendo, si pensi al tema della gestione etica dell’intelligenza artificiale.

Inoltre, è da rilevare come per posizioni non direttamente collegate allo sviluppo e alla gestione di processi di digitalizzazione e AI si richiedono sempre di più ben determinate capacità. In particolare, la predisposizione all’apprendimento è una caratteristica molto richiesta dalle organizzazioni per ogni tipo di figura professionale. Se la velocità di innovazione tecnologica rimane quella attuale, le risorse che entrano in azienda, ad ogni livello, vedranno rapidamente cambiare il proprio lavoro in tutti i dipartimenti. L’apertura ad abbracciare il cambiamento diventa quindi un prerequisito fondamentale. Grande attenzione anche alla capacità di collaborare, se vogliamo sviluppare strumenti che vadano a sostenere dei processi chi lo fa deve avere la capacità di lavorare in team variegati e ricchi di professionalità differenti. Questa è una delle competenze che spesso si sottovaluta ma che è in realtà fondamentale.

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